“Ingrid lavorava a maglia da sempre. Quando aveva scoperto di essere malata, si era unita a un club in cui uomini e donne affetti da malattie analoghe si riunivano e sferruzzavano tutti insieme per beneficenza. I loro lavori venivano donati ai rifugiati che arrivavano in Svezia senza niente. Il vestito che Ingrid stava realizzando in quel momento era destinato a una bambina siriana che avrebbe fatto da damigella al matrimonio della sorella più grande”.

“Betsan Corkhill, fondatrice dell’organizzazione di Bath chiamata Stitchlinks, che promuove il lavoro a maglia come pratica terapeutica, scrive nelle conclusioni: <<Il lavoro a maglia terapeutico viene utilizzato per gestire l’esperienza del dolore, la salute mentale, la demenza e le dipendenze. I gruppi di lavoro a maglia con scopi terapeutici stimlano le persone ad avere un obiettivo, promuovono la creatività, il successo, la gratificazione e il divertimento, il che risulta particolarmente importante per chi non prova questi sentimenti negli altri ambiti della vita>>.
In poche parole: fare la maglia aiuta noi e le persone che amiamo ad affrontare i momenti bui che prima o poi tutti attraversiamo nella vita”.

di Loretta Napoleoni, “Sul filo di lana”.

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Saverio Tommasi
presidente di SHEEP